Rete oncologica campana, si parte: cancellato il 75 per cento degli ospedali

Da oggi il Decreto del commissario sugli obblighi a cui devono attenersi presìdi pubblici e cliniche accreditate per malattie tumorali . Abilitati solo i centri con percorsi assistenziali omogenei, competenza specifica sulla patologia e con ridotta migrazione extraregionale

di GIUSEPPE DEL BELLO

La premessa: la sopravvivenza oncologica in Campania è più bassa. Nella nostra regione, a 5 anni dalla diagnosi per quasi tutti i tumori, nei maschi tocca il 50,2 per cento e nelle donne il 59. Contro, rispettivamente, il 54 e il 63 per cento del registro nazionale.

C’è qualcosa che non funziona. Ma adesso arriva la Roc, acronimo di Rete oncologica campana. Ed esclude il 75 per cento delle strutture. È la Rete che cambia le regole, definisce i centri abilitati e intima lo stop a cliniche e ospedali che non hanno numeri e requisiti. Da oggi, si volta pagina. E si inverte la rotta grazie al Dca 58 ( Decreto commissariale sottoscritto da Vincenzo De Luca e inoltrato ad Asl, ospedali e cliniche accreditate).

Repubblica è in grado di anticipare il filo conduttore per intraprendere un percorso, diagnostico e assistenziale sulle malattie tumorali. Un percorso razionale. Il gruppo tecnico di lavoro, guidato da Antonio Postiglione e da Antonella Guida in collaborazione di tanti specialisti tra cui il coordinatore del Registro tumori della Campania Mario Fusco, ha elaborato un piano d’azione che di fatto rivoluziona il settore. Sulla base soprattutto dei numeri che impietosamente rivelano come finora si sia proceduto senza un’organizzazione appropriata. Basta dire che in campo oncologico gli ospedali e i centri di riferimento hanno finora svolto la loro attività ad ampio raggio e privi di criteri scientifici standardizzati.

Significa: senza tenere presente la tipologia dei vari tumori e nemmeno la percentuale dei casi delle singole patologie neoplastiche trattate. E vuol dire anche che i più piccoli e non specialistici ospedali o cliniche private accreditate si sono fatti carico (intervenendo pure chirurgicamente) di qualsiasi tumore, con la copertura del rimborso regionale. Insomma, è stato consentito a un presidio con una casistica minima (ad esempio di due, tre neoplasie della mammella all’anno), di continuare a svolgere attività oncologica pur senza adeguata competenza. Da oggi tutto questo non sarà più possibile.

Sempre in premessa, nel documento si scoprono le quattro problematiche individuate dagli esperti: marcata “polverizzazione” dei percorsi diagnostico- assistenziali; ridotta utilizzazione di modelli di trattamento multidisciplinare; insufficiente continuità di cura ed eccessiva mobilità passiva per procedure chirurgiche oncologiche. Su quest’ultimo punto sono ancora i numeri o rivelare uno spaccato di criticità. Nel triennio 2015/ 2017 per il tumore della mammella ogni anno si sono spostate 474 pazienti in 170 strutture extra regionali. Per il colon, i pazienti curati in altre sedi sono stati 234, per il retto 136, per il polmone 230, per lo stomaco 73, per il pancreas 83,80, per la cervice uterina 33, per l’ovaio 95, per la vescica 140, per il rene 229, per la prostata 403, per il testicolo 37e per il melanoma 50. Il paper appena licenziato non solo identifica le strutture abilitate alla gestione chirurgica dei tumori, sulla scorta dei casi di incidenza oncologica regionale ( specifica per sede), ma definisce anche che ogni struttura deve rendere conto di un numero minimo di casi trattati ogni anno, requisito che determina esperienza, capacità e produttività).

L’analisi si è infatti focalizzata sui volumi delle attività chirurgiche così da identificare i centri di chirurgia da ammettere nella rete oncologica. ” Una struttura abilitata alla cura di una determinata patologia – precisaFusco – può non essere autorizzata a trattarne altre. In parole povere, va rispettata l’individualità dei percorsi diagnostico- terapeutici. La cosiddetta competenza tumore- specifica ” . Ad esempio, Villa Betania ha avuto il via libera a occuparsi delle neoplasie di mammella, colon e retto, ma non ha competenza per gli altri 19 tumori presi in esame dalla Rete.

Spulciando nelle tabelle ( a titolo esemplificativo) oltre Villa Betania, sono riportate altre strutture in cui le pazienti con tumore della mammella potranno essere seguite dal sistema sanitario regionale a pieno titolo: Pascale, Moscati di Avellino, Federico II, Cardarelli, San Giovanni di Dio di Salerno, Ateneo Vanvitelli, ospedale Sant’anna di Caserta e clinica Mediterranea. A queste ultime i tecnici hanno aggiunto, ma con la condizionale, altri 12 presìdi che, quindi, rimarranno in osservazione fino a dicembre del 2021 perché al momento non hanno raggiunto il top dello standard previsto. Eccoli: Rummo di Benevento, Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, Villa dei Platani di Avellino, Hyppocratica di Salerno, Salus di Battipaglia, Azienda dei Colli, San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, Clinica Cobellis di Vallo della Lucania, ospedali di Marcianise e di Nola, e Ospedale del Mare.

Logica analoga è stata seguita per il trattamento dei tumori del colon: 13 le strutture ammesse e 12 in osservazione. Per il cancro dell’ovaio, molto specifico, solo due strutture abilitate: Pascale e Villa dei Platani di Avellino. A queste sono stati aggiunti 8 presìdi, dalla Federico II e Cardarelli alla Vanvitelli che invece resteranno ” osservati” per 3 anni. I centri sotto osservazione saranno verificati ogni sei mesi dal team tecnico della Rete oncologica e, successivamente, sottoposti all’esame finale del 31 dicembre 2021: se non avranno raggiunto i volumi minimi fissati, resteranno esclusi. “Dalla Rete sono fuori 70 delle 92 strutture operanti. Il 75 % delle attuali svolgevano attività di diagnosi e cura senza gli standard necessari. Tutto ciò servirà anche a rasserenare i pazienti: potranno fidarsi senza timore alle cure erogate nella nostra regione – conclude Fusco – Così si ridurrà significativamente la migrazione extraregionale e, contemporaneamente, anche la frammentazione regionale delle strutture abilitate ai trattamenti chirurgici specifici per sedi tumorali. L’analisi finale evidenzia, infatti, un taglio drastico delle strutture abilitate alla chirurgia oncologica: del 54 % quelle operanti sul tumore del polmone, dell’86 sul melanoma e del 76 sul tumore della mammella. L’attuale decreto è solo un punto di partenza: da doggi tutto il sistema regionale diagnostico- assistenziale in oncologia si avvia verso un nuovo percorso fondato su multisciplinarietà, qualità e tempestività”.